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MUSICA dei migranti e MUSICA sui migranti

 


 

La musica nel corso dei secoli è stata caratterizzata di contaminazioni e prestiti, rappresentando uno dei principali canali di integrazione tra diverse culture [1]. Sono infatti le armonie e le melodie a comporre per eccellenza il linguaggio universale della musica, condiviso e comprensibile a tutti i suoi ascoltatori. E poiché l'arte trova la sua musa ispiratrice nella vita di tutti i giorni, è comprensibile che le canzoni italiane di fine Ottocento e inizio Novecento raccontino dell’esperienza emigratoria dei contadini italiani dell’Italia settentrionale verso l’America latina. Nella seconda metà del Novecento in Italia cambia l'immagine e la destinazione dei migranti, che si spostano internamente dal meridione al settentrione, e poi verso l’Africa. Negli anni Settanta il tema dell’emigrazione italiana ritorna ad essere soggetto privilegiato delle canzoni popolari mentre tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi dei Novanta l’Italia si trasforma da paese di emigranti in quello “meta” di migranti dall'Africa e dall'Albania. E’ così che le nuove canzoni popolari fotografano l’inversione del fenomeno migratorio. Da ‘Nero’ di Francesco De Gregori nel 1987, a ‘O’Scarrafone’ (1991) di Pino Daniele, passando per ‘Barcarola Albanese’ di Samuele Bersani (1995) fino a ‘Tammurriata del lavoro nero’ dei 99Posse (1994). Solo per citare alcune canzoni tra le più famose.
L’innovazione dell’arte musicale degli anni Novanta non è, tuttavia, segnata solo dall’attenzione dedicata al tema migratorio da parte del pop e rock italiano. In Italia arrivano infatti anche molti cittadini non comunitari che sono musicisti, alcuni entrano nella scena musicale della world music italiana già attiva a partire da metà degli anni ottanta, con sonorità proprie della cultura di origine contaminate con il viaggio e con l’incontro con la cultura di arrivo, altri entrano direttamente in progetti di musicisti italiani. Si tratta di studenti o dei primi migranti che già erano musicisti in patria, che arrivati in Italia per altri scopi rientrano nel circuito musicale. Prima con progetti musicali specifici, per area geografica di provenienza e in seguito rientrano a pieno nel circuito di insegnamento musicale e progetti musicali, senza bisogno di caratterizzare la loro presenza in quanto ‘migranti’.
Un fenomeno che ha caratterizzato l’Italia è inoltre a partire dal 2002, anno della nascita dell’Orchestra di Piazza Vittorio, la comparsa sulla scena musicale di orchestre e bande multietniche,  con diverse estrazioni e generi musicali e con un numero di musicisti che varia dagli 8 ai 25 componenti per ogni ensemble [2]. L’Italia  è il paese europeo a detenerne il primato in termini di presenza sul territorio: 19 orchestre, di cui 7 solo sul territorio di Roma Capitale [3]. Ciascuna con la sua storia e la sua identità cangiante e plurale, segnali di come l'arte e la musica, in modo speciale, possano essere il luogo privilegiato nel quale non solo le differenze di storia, cultura, abitudini e memorie coesistano, ma dialoghino dando vita a un’arte musicale assolutamente nuova [4].
Altro fenomeno che sta vedendo una sempre più ampia rappresentazione nella scena musicale italiana sono i cantanti rap o hip hop di prima o seconda generazione, ma sempre giovanissimi e con la voglia di raccontare il loro mondo sociale e il loro essere nuovi italiani con tutti i disagi che questo comporta. Da Amir Issaa ‘Uomo di prestigio’ (EMI/Virgin 2006) a Antonio Di Stefano, in arte Nashy, “italiano di colore che dà colore all’italiano”, passando per moltissimi cantanti o ‘crew’ che usano la parola e la musica per esprimere le proprie emozioni.

 

[1] Fiore Francesco  (a cura di) , “Orchestre e bande multietniche in Italia”, Editrice Zona “I libri dei Mei”, 2013
[2] Idem
[3] Cfr. Fiore Francesco  (a cura di), 2013
[4] “Il flauto magico secondo l’Orchestra di piazza Vittorio”, articolo consultabile sul sito avoicomunicare, http://www.avoicomunicare.it/category/tags/musica-e-immigrazione

 

 
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