Cinema dei migranti, cinema sui migranti
Il cinema, spesso arte di avanguardia, capace
di rappresentare e interpretare fenomeni sociali e culturali appena emergenti,
in Italia ha di fatto iniziato a focalizzare le tematiche connesse alle
migrazioni solo a partire dagli anni Novanta. Come sottolineano alcuni autori
(Cincinelli
2009, 2012;
Corrado e Mariottini
2013), infatti, se è negli anni Ottanta
che lo Stato inizia a dotarsi di norme specifiche sull’immigrazione, vero è
anche che in quello stesso decennio sono rare le pellicole che scelgono di
affrontare questo tema. Rare, ma spesso coraggiose e sempre di altissima
qualità: parliamo di cineasti come Michele Placido (Pummarò, 1989, su due
fratelli ghanesi) e Peter Del Monte (L’altra donna, 1981, la cui protagonista è
una giovane etiope).
Negli anni Novanta si assiste, invece, a una
presa di consapevolezza più diffusa: dalle migranti della Russia e della
Cecoslovacchia raccontate da Carlo Mazzacurati (Un’altra vita, 1992, Vesna va
veloce, 1996) alla rom di Silvio Soldini (Un’anima divisa in due, 1993), dalla
famiglia polacca ritratta ancora da Del Monte (La ballata dei lavavetri, 1998)
alla donna africana di Bernardo Bertolucci (L’assedio, 1998), fino ai ragazzi
albanesi protagonisti del film Ospiti di Matteo Garrone (1998) e alle giovani
romene tratteggiate da Corso Salani (Occidente, 1999).
Questa tendenza cresce in maniera
significativa nei primi anni del nuovo millennio. Da questo punto di vista, il
2011 potrebbe essere considerato una sorta di spartiacque: è l’anno che vede
l’uscita di circa venti film italiani che raccontano storie di migranti o
propongono una rappresentazione cinematografica di personaggi e comunità
straniere. Tra questi si possono ricordare, ad esempio, Soltanto il mare di
Dagmawi Yimer, Giulio Cederna e Fabrizio Barraco (miglior film nella sezione
Migranti e viaggiatori, Festival del cinema africano di Verona), Altra Europa di
Rossella Schillaci (miglior documentario nella sezione ITALIA DOC del Salina Doc
Fest), Il tempo sospeso di Marzia Marzolla e Fabio Trappolini (film prodotto per
la Rai), Io sono Li di Andrea Segre, I nostri anni migliori di Matteo Calore e
Stefano Collizzolli. Nello stesso anno, uno dei più importanti e prestigiosi
festival internazionali del mondo, quello di Venezia, presenta circa dieci film
i cui protagonisti sono migranti, e premia tra questi Emanuele Crialese
(Terraferma, Premio speciale della giuria) e Guido Lombardi (Là-bas, Leone del
futuro per la migliore opera prima).
Se si volesse conquistare un punto di vista
privilegiato sull’evoluzione del cinema sui migranti, si potrebbe forse fare
riferimento, oggi, alla Mia classe di Daniele Gaglianone. Dal punto di vista
della ricerca e dello stile, infatti, il film sembra costituire un punto di
arrivo e di nuova partenza: se il documentario è stato scelto raramente agli
albori di questa cinematografia, e sempre più di frequente negli ultimi anni per
raccontare i migranti, vero è anche che la pellicola di Gaglianone abbandona,
apparentemente in maniera deliberata, l’idea di un confine possibile tra ciò che
è fiction e ciò che è documento, rendendo a volte impossibile, per lo
spettatore, distinguere tra le scene in cui i giovani studenti di italiano sono
ripresi in maniera documentaristica e le scene in cui recitano (Chiacchiari 2013). Un punto di arrivo, perché
riecheggia la scelta di autori come Matteo Garrone che nel 1996, con Terra di
mezzo (sua opera prima), aveva raccontato – già in bilico tra realtà e fiction –
tre storie di sopravvivenza di migranti a Roma. Un nuovo punto di partenza,
perché le stesse suggestioni sembrano tornare anche nel Sacro GRA (2013) di
Gianfranco Rosi - primo documentario nella storia ad aggiudicarsi il Leone d’oro
a Venezia – che, forse non a caso, dedica una delle sue storie a una non giovane
coppia mista e serena nonostante l’incomunicabilità dovuta alle differenze
linguistiche.
Se il cinema sui migranti inizia già a vedere
la pubblicazione di alcune opere di rassegna che fanno il punto sullo stato
dell’arte, il cinema dei migranti è già protagonista in diversi festival, spesso
con sezioni specificamente dedicate (a titolo di esempio si possono citare il
Lampedusa in festival, il Mater festival, il Festival del cinema africano,
l’Arcipelago film festival, il Terra di tutti film festival). Questa attenzione
si riflette, peraltro, nel web, dove sono ormai diversi i portali italiani
dedicati, ad esempio, al cinema asiatico o africano, gli archivi di documentari
e le mappe del cinema migrante in Italia.