“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” (art. 38 Cost.)
Il sistema di sicurezza sociale italiano è impostato su due distinte forme di tutela: da un lato la tutela degli inabili e degli indigenti e dall’altro la tutela dei lavoratori, fondata sul principio che alla prestazione lavorativa svolta corrisponde il trattamento pensionistico maturato a seguito del versamento dei contributi.
Il sistema di sicurezza sociale italiano si articola in tre settori rispettivamente gestiti dall’INPS, dall’INAIL e dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Per approfondimento sul Servizio Sanitario Nazionale vai alla pagina dedicata alla Salute.
Il più grande ente previdenziale italiano è l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS), presso il quale è assicurata la quasi totalità dei lavoratori dipendenti del settore privato e, di recente, anche quelli del settore pubblico. Di altre categorie, tra le quali i giornalisti, i medici, gli avvocati e altri settori professionali, si occupano invece altri enti.
L’INPS eroga prestazioni sia di natura previdenziale sia di natura assistenziale. Le prime sono determinate in base ai contributi versati, mentre le seconde prescindono dal versamento di contributi (ad es. assegno per il nucleo familiare, assegno a sostegno della maternità e per i nuclei familiari concessi dai Comuni).
L’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) ha invece un ruolo attivo nell’ambito della tutela della salute e della sicurezza del lavoratore. L’INAIL si occupa quindi del regime assicurativo, finanziato mediante i contributi versati solo dai datori di lavoro, garantendo protezione ai lavoratori in caso di infortuni, malattie professionali o morte sul lavoro. Gli infortuni sul lavoro sono tutti quegli eventi occorsi al lavoratore che hanno luogo per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o l’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che comporta l’astensione al lavoro per più di tre giorni.
I lavoratori dipendenti hanno diritto alle prestazioni INAIL anche se il datore di lavoro non ha adempiuto agli obblighi contributivi. L’INAIL eroga prestazioni di natura temporanea o pensioni a carattere permanente in caso di disabilità permanente, oppure può concedere indennità in caso di morte.
Il lavoratore straniero che svolge la sua attività in Italia viene assoggettato alla legislazione previdenziale e assistenziale italiana in base al principio della territorialità dell’obbligo assicurativo.
L’erogazione delle prestazioni previdenziali prevede l’avvenuto versamento di un certo numero di anni di contributi, sia per gli italiani sia per gli stranieri. Per i lavoratori dipendenti la quota dei contributi dovuti viene versata dal datore di lavoro. I lavoratori autonomi invece provvedono al versamento dei contributi dovuti all’INPS sulla base del reddito denunciato ai fini fiscali
Un regime particolare è previsto per i lavoratori stagionali, i quali beneficiano solo di alcune forme assicurative (pensioni, infortuni, malattia e maternità).
Se il datore di lavoro non procede al versamento dei contributi, il diritto alla prestazione previdenziale non viene meno se richiesto dallo straniero interessato entro il termine di prescrizione di tre anni.
In generale, tanto per gli italiani che per i cittadini comunitari e non comunitari sono esportabili le pensioni (ad esclusione di quelle a carattere assistenziale) e le rendite infortunistiche, ad eccezione di quelle previste in caso di malattia, maternità, disoccupazione e cassa integrazione.
Occorre tuttavia distinguere il caso in cui decide di rimpatriare un lavoratore straniero proveniente da un Paese che ha stipulato con l’Italia una convenzione in materia di sicurezza sociale e quello in cui tale decisione è presa da un lavoratore proveniente da un Paese non convenzionato.
In particolare, mentre non si pongono problemi se il lavoratore ha raggiunto in Italia il diritto ad una pensione autonoma (per saperne di più sul pagamento all’estero della pensione consulta la pagina dedicata sul sito dell’Inps), diverso è il caso in cui il diritto alla pensione matura solo totalizzando i periodi contributivi maturati in Paesi diversi.
Attualmente, infatti, per aver diritto ad un regime di totalizzazione della pensione, è necessario che vi siano delle convenzioni bilaterali tra l’Italia ed il Paese di origine del lavoratore straniero. Dette convenzioni infatti garantiscono al lavoratore il cumulo dei periodi assicurativi svolti negli Stati contraenti, per conseguire il diritto alle prestazioni qualora non sia stato maturato in maniera autonoma in un singolo Stato.
Nel caso, invece, in cui il lavoratore straniero che decide di rimpatriare proviene da un Paese non convenzionato con l’Italia in materia di sicurezza sociale, il regime di totalizzazione della pensione non trova applicazione. Inoltre, in tal caso, mentre prima della legge 189/2002 (cd Bossi-Fini) ai lavoratori extracomunitari che rimpatriavano definitivamente, veniva riconosciuto (Legge n.335/1995 art.3, comma 13) a prescindere da accordi di reciprocità tra l’Italia e il loro Paese, il diritto a ottenere il rimborso dei contributi versati fino a quel momento,ora tale facoltà non è più prevista.
Attualmente i lavoratori stranieri rimpatriati conservano i diritti previdenziali e di sicurezza maturati, ma possono goderne solo a partire dall’età pensionabile e previa maturazione del requisito contributivo minimo sulla base della normativa vigente in Italia. Quando questi requisiti non sono soddisfatti, il cittadino straniero potrà richiedere al compimento dei 66 anni la quota parte di pensione corrispondente alla sua ridotta anzianità contributiva.
In caso di lavoratori stranieri rimpatriati occorre distinguere a seconda che la pensione venga calcolata con il sistema contributivo o retributivo:
- Nel primo caso (sistema contributivo), i lavoratori extracomunitari assunti dopo il 1° gennaio 1996, possono percepire, in caso di rimpatrio, la pensione di vecchiaia (calcolata col sistema contributivo) al compimento del 66° anno di età e anche se non sono maturati i previsti requisiti (dunque, anche se hanno meno di 20 anni di contribuzione e se la pensione erogata risulterà inferiore a 1,5 volte l'importo dell'assegno sociale).
- Nel secondo caso (sistema retributivo o misto), i lavoratori extracomunitari assunti prima del 1996 possono percepire, in caso di rimpatrio, la pensione di vecchiaia (calcolata con il sistema retributivo o misto) solo al compimento del 66° anno di età sia per gli uomini che per le donne e con 20 anni di contribuzione.
Per approfondimenti:
- Circolare INPS 35/2012 - "I lavoratori extracomunitari con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o determinato rimpatriati, a decorrere dal 1° gennaio 2012, conseguono il diritto alla pensione di vecchiaia al perfezionamento del requisito anagrafico di 66 anni, con conseguente applicazione degli incrementi per speranza di vita, previsto per la generalità dei lavoratori della presente circolare. Resta fermo che tali lavoratori possono conseguire la pensione di vecchiaia al compimento del predetto requisito anagrafico anche in deroga ai minimi contributivi previsti dalla normativa vigente per la liquidazione del trattamento secondo le regole del sistema contributivo". La deroga riguarda anche il requisito dell'importo soglia (ovvero la condizione secondo cui la pensione non deve essere inferiore ad 1,5 volte l'importo dell'assegno sociale) trattandosi di prestazioni particolari di importo molto basso, essendo erogate in assenza dei requisiti contributivi previsti dalla legge. Tale deroga non opera per i lavoratori extracomunitari che hanno titolo alla liquidazione della pensione di vecchiaia con il sistema retributivo o misto.
I principi a cui si ispirano i trattati bilaterali in materia di sicurezza sociale possono essere desunti dal Regolamento 883/2004, tra i quali si segnalano:
• Parità di trattamento (articolo 12), che impedisce qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità nell’applicazione delle leggi nazionali relative alla sicurezza sociale
• Parità di trattamento delle prestazioni, del reddito dei fatti e degli eventi (articolo 5), in base al quale ogni Stato considera un evento accaduto sul territorio di altro Stato membro come se fosse avvenuto sul proprio territorio.
• Unicità della legislazione applicabile, secondo cui il lavoratore è soggetto alla legislazione di uno Stato membro del luogo in cui si svolge la prestazione lavorativa, come regola generale (Regolamento 883/2004)
• Totalizzazione, secondo cui tutti i periodi di assicurazione, lavoro autonomo o dipendente e residenza acquisiti in uno Stato membro si considerano nel calcolo delle prestazioni che spettano al beneficiario.
• Esportabilità, ottenendo così il pagamento delle prestazioni nel Paese di residenza anche se la prestazione è a carico di un altro paese (eccetto le prestazioni non contributive, come ad esempio l’assegno sociale)
• Regola contro la sovrapposizione dei benefici (articolo 10), in base al quale non è possibile maturare il diritto di ricevere molteplici prestazioni da diversi Stati membri dello stesso tipo per lo stesso periodo di assicurazione obbligatoria.
L’Italia, a partire dagli anni Settanta, ha stipulato una serie di accordi bilaterali con i Paesi di emigrazione a tutela della circolazione dei lavoratori suoi cittadini.
Negli anni Ottanta, a seguito della trasformazione dell’Italia da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione, sono stati conclusi nuovi accordi con i principali paesi di origine dei cittadini di paesi terzi, come Capo Verde e la Tunisia.
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